Ma questo non accade, la voce over del narratore ci trasporta immediatamente in un presagio di Guerra, antico quanto attuale. La voce corale femminile si unisce al basso, susseguono intercettazioni radio, mentre l’assolo virtuoso di chitarra lascia presagire un fittizio caos di ciò che sta succedendo, oltre questo schermo che ci immaginiamo di guardare, come fosse un film.
Succede “Game Over”. La voce narrante lascia spazio ad un botta e risposta maschile e femminile, il timbro baritonale si sposa con la voce sopranile, un voluto contrasto degno della musicalità presentata. Si percepisce un’accurata ricerca della sperimentazione, un’avanguardia artistica che punta alla libertà d’espressione oltre il conformismo, oltre le aspettative di massa, verso un ascoltatore di nicchia… Eppure Il canto/racconto in italiano da un lato ci dona l’idea di un racconto popolare. Un forte dualismo regna in noi durante l’ascolto.
Spingere l’ascoltatore verso un uso intellettuale della musica. Nel cinema, potremmo definirlo “di genere”. Questo concetto lo ritroviamo anche qui, una musica “di genere”. Voci dall’imprinting psichedelico, un tocco jazzistico, decisamente progressivo nelle intenzioni. L’eterea immobilità che ci tiene sospesi in questo brano è quello che chiamerei il “tempo di visione”, il tempo che ci occorre per comprendere quello che abbiamo ascoltato e che ascolteremo. Non a caso, a mio parere, il brano dura 9 minuti e solo a metà arriva un testo dallo stampo cantautorale più lungo. Una raccolta di aforismi non citati a caso… del resto “la felicità è in noi e non nelle cose” è una frase apparentemente banale quanto estremamente complicata da comprendere, da fare nostra. Da seguire. Una lettura superficiale di questo brano, non è consentita.
Si evolve comunque entro le mie aspettative, l’insieme di voci femminili fa sicuramente la differenza in un brano dove questa impronta ha dato un tocco di sensibilità artistica degna di nota.
Passiamo ad “Ologramma vivo” dove il sound jazzistico si sente più nitido. Non è prevedibile, per questo mi piace etichettarla come musica d’avanguardia vera e propria. Quando ti aspetti un’esplosione non avviene. Quando ti aspetti la voce narrante, non arriva. E questo ci ostina ad andare fino alla fine della canzone, nonostante 7 minuti e 14 secondi di durata, per sentire e vedere con la mente che cosa succederà più avanti.
“Selfie Ergo Sum” ci porta in un’atmosfera dall’inizio espressionista. Una sensazione di ambiguità. Le voci si mischiano, si anticipano, su superano. Una narrazione ipnotica. Si percepisce qualcosa di falsamente ironico. “La felicità virtuale è assicurata”, una frase a cui succede l’inizio vero e proprio del brano. Un incipit con qualcosa di vagamente dadaista, un rifiuto per la logica eppure che accetta l’umorismo. Niente logica sì, ma derisione, forse per una società che corre troppo in fretta, lasciando alcuni di noi inesorabilmente indietro. Una vera e propria denuncia sociale.
Il testo impegnato e di spessore si mimetizza in una melodia estremamente orecchiabile. Fa riflettere, fa pensare, apre la mente a nuove interpretazioni.
Con “Poesia Crepuscolare” giungiamo a termine di questo album. Il brano saluta l’ascoltatore confermando tutto ciò che questo lungo percorso musicale ci ha fatto comprendere, mano mano.
Gli “Altare Thotemico” sono una musica di arte e di prova, di sperimentazione e avanguardia. D’elitè, di nicchia ma dalla voce popolare. Una voce che però va ascoltata con attenzione. Si rivolgono ad un pubblico evidentemente colto, o con voglia di acculturarsi, non solo musicalmente ma anche per i contenuti che esprimono. Una musica di “qualità”… una musica fatta per riflettere.
VOTO: 8 e mezzo
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J. – Postrock.it