Sarà il freddo di questo Dicembre, sarà il periodo, sarà il momento storico, ma non potevo trovare una band migliore da recensire in questo periodo pre-natalizio.
Loro sono i Northway, band attiva dal 2014, e ci deliziano con questo secondo album davvero degno di nota.
Ci addentriamo subito, senza troppi giri di parole, nel percorso musicale di questo interessante disco, uscito il 25 Settembre 2020.
Il disco richiama fin da subito un’atmosfera particolare, guardando la copertina ci sembra quasi di sfogliare le prime pagine di un romanzo inglese di fine ‘800, quelle storie a metà tra mito e scienza, tra tecnologia e mitologia, e i titoli confermano la nostra sensazione iniziale.
Point Nemo, partiamo subito con un basso sporco, diretto, che senza troppi giri di parole ci introduce al primo brano, incalzando la batteria che segue poco dopo e aprendo un capolavoro di trame armoniche di chitarra che ci regalano un’immagine davvero intensa, davvero sognante.
Scaturiscono immagini in sequenza nella mente dell’ascoltatore, che influenzato dalla copertina e dal titolo del brano si ritrova subito nella ciurma del Nautilus, viaggiando a profondità incredibili, osservando cose fino ad ora nascoste ad occhio umano.
La batteria è sommessa, tranquilla, ci accompagna nel viaggio senza troppe parole. Ma ecco che sul finire un mostro marino passa in tutta la sua enorme imponenza davanti ai nostri occhi, e assistiamo ad un esplosione di suoni e di colori
Kraken. un urlo sorge dalle profondità. Una lingua a noi sconosciuta. Nella notte dell’oceano, a bordo del nostro veliero, tra fulmini e pioggia, vediamo all’improvviso emergere un gigantesco tentacolo. La chitarra si erge in tutta la sua grandezza, con suoni scuri e pesanti, spinta in avanti da un basso che dipinge perfettamente l’imponenza del grande mostro marino.
La batteria scandisce gli attimi di terrore come se procedessero quasi a rallentatore, con quella sorta di adrenalina che ci pervade alla vista della mitologica creatura.
La chitarra si lancia in suoni che sembrano quasi urla, poi un arpeggiato a metà del brano, una riflessione quasi, che ci riporta alla ricerca di un qualcosa, un miraggio, una leggenda. Il rullante riprende la sua marcia, i fucili sono in posizione sul ponte, il mozzo ha avvistato qualcosa, ci apprestiamo alla battaglia. Ed ecco che la chitarra riemerge, ancora più cattiva, per il secondo mitico confronto tra uomo e leggenda.
Hope in the Storm. Un bellissimo gioco tra arpeggiati di basso elettrico, chitarra synth e accordi di immensa delicatezza.
Siamo in sottocoperta, fuori imperversa la tempesta. Sentiamo il legno del Veliero scricchiolare sotto le sferzate del gelido vento, i lampi irrompono con il loro boato, ma tutto rimane quasi lontano da noi.
Mentre la nave oscilla, noi siamo alla nostra scrivania, e con penna d’oca e inchiostro scriviamo una lettera alla nostra amata, rischiarati dalla luce di una debole e oscillante lanterna. La nostra mente è lontana da tutto questo, siamo nei ricordi. L’intensità del brano aumenta e noi ci immergiamo nei pensieri di speranza. La nostra avventura non può terminare qui, abbiamo qualcuno che ci aspetta a casa. Dobbiamo tornare.
Interlude. Così come il nome del brano, questo potrebbe essere un tramite verso ciò che ci aspetta. Nella mia mente vedo un momento di stasi durante il viaggio. Interessanti effetti sonori si succedono uno dopo l’altro, riempiendo l’aria. Forse stiamo cercando qualcosa che ancora non abbiamo trovato. Tra le onde senza fine, buttiamo in mare i corpi dei marinai. Loro non ce l’hanno fatta, ma noi si.
Edinburgh of the Seven Seas. Una calda armonia, accompagnata da un basso e una batteria suonati con ritmo e grazia, ci accompagnano lungo questo quinto brano. Siamo arrivato al porto, vediamo la città con i suoi comignoli sbuffanti, e i carri trainati dai cavalli carichi di spezie e merci che attendono di essere trasportate lungo il vasto mare.
Ci immergiamo nella città, nei sobborghi, ascoltiamo i vecchi marinai mentre narrano di epiche battaglie, mentre ricordano a tutti di quella volta che la grande balena bianca distrusse la nave e uccise tutti.
Anche qui assistiamo ad un giustissimo aumento di intensità, con un assolo di chitarra che prende parola per raccontarci qualcosa di cui nessuno più ha ricordo, un suono che pare voce, un pianto. Note di piano accentuano la malinconia di questo brano, portandolo verso la sua fine.
Deep Blue. Dopo una vita passata solcando i sette mari, ci pare di aver percorso soltanto un’infinitesima parte di questo sconfinato mare. La chitarra, proseguendo la malinconia del precedente brano, ci introduce all’ultimo brano di quest’album.
E partiamo, immergiamoci ancora una volta in questa trama sonora così piacevole e ben fatta.
Ci lasciamo trasportare dalle ritmiche di basso e batteria, mentre solchiamo le onde di un mare languido, dolce e calmo seppure inquietante. e misterioso. Cosa c’è laggiù nell’oscurità? I nostri antenati ci hanno lasciato in eredità leggende e miti, parole e canti che non hanno più un volto ormai…ma se in qualche modo fosse vero? Se quelle leggende avessero un’origine, se in questo momento qualche gigantesca creatura stesse ancora animando i fondali sconfinati dell’oceano sotto di noi?
È questo il quesito con cui i Northway decidono di chiudere il loro capolavoro, narrandoci storie, leggende, canti e poemi con un epilogo degno di questo viaggio leggendario.
Chitarre sognanti viaggiano a ritmo di batteria, mentre il basso vola alto dando la vibrazione adatta per un momento cosi solenne.
E così si chiude quest’album, che. ci ha regalato emozioni che vanno aldilà delle parole. Bravi Northway, cosa ci racconterete nel prossimo album? aspettiamo con ansia e curiosità il vostro prossimo lavoro.
Voto: 9
Paul – Postrock.it