Nàresh Ran
Re Dei Re Minore
Nàresh Ran Abbatte le pareti e i limiti delle sale registrazioni e porta la musica on the road. Un gioco danzante di Drone e Postrock.
Solitamente non guardo la biografia di un artista prima di ascoltare un album per una recensione. Mi piace chiudere gli occhi e lasciarmi attrarre dalle semplici vibrazioni e dall’intenzione dell’artista. Dopodiché riverso in parole ciò che ha suscitato in me durante l’ascolto.
Questa volta ho fatto un’eccezione. Dopo pochi minuti di ascolto ho provato la tremenda curiosità di saperne di più di questo artista. Un sound maturo, un esperimento accurato e rifinito.
Ed è così che mi inoltro nell’ascolto di quest’album leggendo la splendida storia di Nàresh Ran, un artista che è riuscito ad abbattere il “muro” del suono, nel vero senso della parola.
Nàresh Ran, 40 anni, diversi lavori all’attivo, una label molto importante in ambino Drone (Dio Drone) fondata nel 2013.
Un artista di strada, così lo potremmo chiamare. Ma lui non si limita a “suonare” per strada… lui la vive, fino in fondo. Portando con sé tutti gli strumenti per la registrazione. Un esperimento molto coraggioso affrontato da un artista coraggioso, che ha saputo regalarci un lavoro davvero interessante.
Non posso non rimanere affascinato dall’idea del viaggio. Chi non ha sognato la vita On The Road, alla Kerouac, con un Sacco in spalle e il pollice alzato. In un certo senso Questo lavoro ci proietta in un tappeto sonoro che ci fa respirare questa esatta ambientazione.
Ci ritroviamo a bordo strada, di notte, qualche goccia di pioggia, una radio malandata a tenerci compagnia. Gente che si muove nell’ombra, alberi, auto… respiriamo l’odore dell’asfalto.
Voci nell’ombra…ci sentiamo un pò voyeurs, come se spiassimo attraverso una finestrino, e vediamo questi personaggi muoversi, interagire, nascere ed esaurirsi. Vibrazioni che si diffondono, a volte morbide, a tratti quasi soffocanti, come un sogno che si trasforma improvvisamente in incubo, e poi di nuovo in sogno.
Questo album è come un prisma, rilascia raggi diversi e colori differenti a seconda del punto di vista. Ogni ascoltatore ci può mettere il suo, ma il risultato è ugualmente valido.
L’alternarsi di suoni e di rumori, di interferenze e di armonie ci porta sul finire dell’album, dove una sequenza di voci, urla e parole ansimanti ci fa entrare in un tunnel sonoro. Sadismo e redenzione tra le pieghe di questo album. Una frase eccheggia dentro di me..
“Possiamo commettere un omicidio, o fondare una religione” (cit.)
Strumenti portatili. un anno di lavoro. Un’accurato lavoro che sicuramente ha molto da dire in ambito Drone, ma che ci sentiamo di includere nella nostra recensione Postrock, essendo un lavoro che esula completamente da ogni griglia sonora e di genere.
Questo album non si può suddividere, così come è impossibile suddividere un viaggio. Un consiglio: mettete questo cd nello stereo, chiudete gli occhi e iniziate il viaggio.
VOTO: 8
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Paul – Postrock.it
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