Siamo in dirittura d’arrivo, verso la fine di quest’anno tremendo che molti di noi sperano di dimenticare presto. Ci sono state ben poche cose positive di quest’anno che voglio ricordare, e sicuramente una di queste è l’album Nova sui prati notturni.
Questa la formazione dei nostri Argonauti che si adoperano in questo viaggio sonoro, denso di immagini, ricordi e vibrazioni.
Una Notte. L’album inizia placidamente, e subito veniamo accolti da un basso caldo e morbido che ci avvolge con la sua placida malinconia. La chitarra batte leggera dei piccoli rintocchi che scandiscono e accompagnano le percussioni. In questa canzone non ci sono protagonisti, o forse lo sono tutti. Questi sono i paradossi che i Nova sui prati notturni riescono a creare con la loro musica magica.
Dal deserto. Si respira una psichedelia quasi Doorsiana, La batteria dirige fin da subito la direzione della canzone, scandendone le parole e regalandoci una dolce atmosfera psichedelica. La chitarra leggermente distorta si disperde nell’oceano delle immagini che questa canzone suscita nell’ascoltatore.
Studio e Famiglia. Un sussurato gioco di strumenti che si accompagnano a vicenda, producendo un tessuto che si autoalimenta. Inizio e fine corrono sulla stessa sottile linea.
Nervi e sangue. Una favola nordica raccontata in calde parole di poesia, in un’atmosfera a dir poco sognante. Chitarre morbide e quasi luccicanti, effetti ambient interessanti. A coronare questa canzone, delle percussioni suonate magistralmente rendono questa piccola traccia qualcosa di più di una semplice canzone.
A casa. Il tono cambia radicalmente, al suono caldo e decisamente coeso dell’album si aggiunge un dialogo più dinamico, un passo più ritmato. Parole se vogliamo più forti queste, che invitano a riflettere.
La chitarra emerge durante il pezzo con un suono leggermente distorto, ad intesificare un testo che già di per sè lascia il suo segno.
Oggi 2020. Un sogno o realtà? La voce narrante ci descrive immagini che sembrano avere contorni sfumati, lampi di luce che si trasformano in colori e suoni. Un rullante cavalcante scandisce il susseguirsi di queste immagini così vive da sembrare un sogno lucido. Gente, fiori, dialoghi e simbolismo.
Stella. Il titolo fa parte del significato intrinseco di questo brano, da assaporare nei suoni e nelle parole. Cos’è una stella, se non un punto luminoso unico seppur unito nella volta celeste? E così ci sono molte persone che non capiscono la propria unicità e quella degli altri, e proviamo dolore. Ecco che in questo brano fa capolino una chitarra acustica, e ci sembra quasi di ascoltare questo brano in riva al mare, in una notte qualunque di questo inverno senza tempo.
Nokinà. Straziante e potente brano che segna una profonda cicatrice nella storia umana. Un termine coniato a ricordo della tragedia degli ebrei e dei campi di concentramento. Le mamme camminano verso le camere a gas, con i propri bambini in braccio, sussurrando “ninàa, ninàa”. Non si può rimanere impassibili di fronte a questo brano, non si può fare a meno di vedersi proiettati in questa orribile scena, con tutta la sua malvagia intensità.
Voci che si susseguono, si disperdono, un bambino che muore sentendo la voce della propria madre cantare verso l’infinito, respirando il gas micidiale, chiudendo gli occhi per l’ultima volta.
AmT. Siamo agli albori della tecnologia. Questa storia ci racconta un sogno, il sogno dell’uomo che vuol farsi macchina, e si lancia così nel viaggio alla scoperta delle proprie potenzialità. Invenzioni, composti chimici, microcompuetr, transistor, algoritmi matematici, numeri, note, tutto si forma come su una lavagna di un’aula universitaria. Un misterioso professore, con barba e capelli bianchi, traccia con il proprio gesso delle linee e ci preannuncia il futuro dell’umanità. E noi assistiamo, eccitati alla visione di quello che ci aspetta. Vediamo tutto da un punto di vista più ampio. Capiamo come ogni cosa ha il suo senso. i suoni dei piatti si dispersono a formare un danzante rumore di fondo che ci ricorda quasi il rumore bianco della radio, e chiudendo gli occhi ancora una volta, rivediamo immagini e volti di uomini alla spericolata scoperta della tecnologia, con coraggio e una piccola dose di follia.
Il Mantello. Conosco questo racconto di Buzzati e ne sono molto affezionato, e quindi non posso che rimanere estasiato dalla splendida messa in musica di questo racconto, tra i più belli forse di tutta la carriera del grande scrittore esistenzialista italiano. Un uomo torna a casa dopo la guerra. Rimane a casa per poco, non toglie mai il mantello, ci lascia capire che quello non è altro che il fantasma dell’uomo, giunto per dare un ultimo saluto ai propri cari.
VOTO: 9
LINK:
https://novasuipratinottur.wixsite.com/nspn
FACEBOOK:
https://www.facebook.com/novasuipratinotturni
Etichetta: Dischi Obliqui
Paul – Postrock.it