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Frank Sinutre – Let This Sound Sing

Frank Sinutre

Let This Sound Sing

Ti è mai capitato di andare ad un concerto e non sapevi dove fosse di preciso? E scendendo dalla macchina in un parcheggio a caso ti sei mai fatto guidare dal suono che correva nell’aria per capire dove fosse? E in qualche modo alla fine, ascoltando il suono che si faceva sempre più forte, sei arrivato davanti al palco…

Oggi in redazione viaggiamo con la mente e nello spazio sonoro, grazie al nuovo singolo del duo mantovano Frank Sinutre, dal nome “Let This Sound Sing”. Il progetto, attivo dal 2011, ha la peculiarità di utilizzare nei live singolari strumenti elettronici autocostruiti come il Reactabox (ispirato al celebre Reactable consiste in un controller midi a forma di cubo luminoso, con all’interno una webcam ad infrarossi, che funziona leggendo delle immagini su dei cubetti che vengono appoggiati e mossi sul cubo) e Drummabox (batteria acustica basata su Arduino) oltre che strumenti tradizionali (chitarra, vocoder, synth, basso, lap steel guitar etc).

“Let This Sound Sing” è il secondo singolo dei Frank Sinutre, e arriva direttamente dal loro quarto album in studio “200.000.000 Steps”. Special Guest del singolo Marco Cremaschi nei panni dell’eclettico trombettista.

La traccia, accompagnata da un nuovo psichedelico video realizzato da Giovanni Tutti Films, parla di questa piccola esperienza sensitiva a cui prima della pandemia molto probabilmente avevi fatto caso distrattamente.

Il brano promette bene fin dalle prime note. È un sound semplice, ammaliante, che cattura nella sua semplicità l’ascoltatore facendolo subito sentire a casa. Casa…forse è proprio questo il tema portante di tutta la faccenda. Potremmo chiamarlo … Il Covid Effect. Un bel giorno ci siamo ritrovati tutti chiusi in casa, vicini e lontanissimi, obbligati a fermarci, ad ascoltare, a sentire ciò che c’era, e ciò che mancava. E i Frank Sinutre ci giocano con questo concetto, di pieno e vuoto, di vicino e lontano.

Chiudiamo gli occhi, e siamo lì, in mezzo alla nostra stanza, immaginando un concerto live che non c’è, sognando un mondo senza distanziamento sociale.

E in questo mondo prendono forma dei piccoli burattini animati, c’è il simpatico trombettista, che suona proprio in piedi sulla poltrona. Di fianco al letto il bassista, con un piede sul comodino, mentre si lancia nello slap selvaggio, mentre incita il suonatore di cubetti sonori. Quel cubo dall’aria magica, che lancia nell’aria note e colori, come una magia di inizio 900, come un coniglio dal cilindro, come una lanterna magica.

E noi saltiamo, beviamo cocktail, mettiamo i piedi nella sabbia, balliamo con amici ed ombre. Siamo a casa. Let This Sound Sing.

Un consiglio, ascoltatevi l’album, è spaziale!

Aspettiamo presto nuove notizie dai mitici Frank Sinutre, e speriamo di vederli presto Live in tutta Italia, oltre che nella nostra stanza.

Voto: 9

 

VIDEO

 

Link YT, FB, Instagram, Spotify, Soundcloud, Bandcamp:

https://linktr.ee/franksinutre

 

Paul – Postrock.it

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Leonardo Serasini – Il Mondo Contro #1

Leonardo Serasini

Il Mondo Contro

Musica e Poesia, Immagini e Colori. Un lavoro interessante che ci catapulta in un universo parallelo, dominato da sensazioni intense ma anche da grande dolcezza. Ecco a voi Leonardo Serasini.
 
Si vive. Si può vivere solo in un modo. Rifugiandosi in qualcosa, in qualsiasi cosa, che sia diversa dalla realtà

Con questa enigmatica frase si apre il sipario sul nuovo, interessante lavoro di Leonardo Serasini. Stiamo parlando di un artista a tutto tondo: Chitarrista, Cantautore, Arrangiatore e Polistrumentista ha suonato con Band e Solisti partecipando a progetti di livello nazionale.

Questo lavoro viene presentato con una modalità davvero particolare, che ci incuriosisce da subito.

“Il Mondo Contro” non uscirà tutto in una volta… verrà pubblicato in vari episodi ricalcando la modalità con cui, un tempo, i romanzi venivano pubblicati a puntate sulle riviste letterarie.

Ma entriamo un po’ di più nel mondo di questo nuovo progetto.

“Il Mondo Contro” parla della realtà che ci circonda e della nostra vita interiore, del modo in cui il visibile e l’invisibile comunicano, si toccano, si feriscono e interagiscono tra loro allo scopo di creare, modellare, distruggere e ricostruire eternamente gli individui, la società e il contesto storico a cui appartengono.

Il primo “Capitolo” di questa saga di compone di due tracce, “Pieno di Rabbia (Contro Tutte Le Guerre)” e “Lasciami Andare”.

Due tracce interessanti, che ascoltiamo con piacere dall’inizio alla fine, e che ci regalano un insieme incredibile di emozioni. Il titolo della prima traccia esprime perfettamente il forte sentimento presente lungo tutta la durata del brano. Un impeto di rabbia che ci colpisce, ci attraversa, e ci arricchisce di nuove incredibili sonorità.

 

Le parole che sentiamo ci lasciano un segno, sono perfette nel punto in cui si trovano. Poesia e musica si uniscono per formare un’opera più grande

La seconda, “Lasciami andare” forse è più riflessiva. In versione Unplugged, anche qui ritroviamo un misto di poesia e musica, che ci piace molto e ci lascia con la voglia di continuare ad ascoltare.

Crediamo che questo sia un grande preludio per qualcosa di meraviglioso che ancora ci aspetta. Facciamo quindi i nostro complimenti a Leonardo Serasini e non vediamo di ascoltare le prossime pubblicazioni!

Voto: 8


Testo e Musica:

Leonardo Serasini (2022) Voce, Cori, Chitarre, Tastiere, Stilofono, Basso, Batteria

Campionamenti:

Leonardo Serasini

Registrato, Mixato e Masterizzato da:

Leonardo Serasini presso”LeTerreDiOrStudios”

Prodotto da:

Leonardo Serasini

Progetto Grafico:

Leonardo Serasini

Foto:

Leonardo Serasini

Realizzazione Video:

Leonardo Serasini

Disponibile nei Social e in tutte le Piattaforme Musicali dal 6 Aprile 2022. 

Facebook: https://www.facebook.com/leonardoserasiniguitarman

YouTube: https://www.youtube.com/user/LeonardoSerasiniPage

SoundCloud: https://soundcloud.com/leonardo-serasini 

Rockit: https://www.rockit.it/leonardoserasini

 

Paul – Postrock.it

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Non è Nulla – Giove

NON È NULLA

GIOVE

Non è Nulla – Giove. A dispetto del nome del progetto, per noi è un grande lavoro che merita il vostro ascolto. Postrockers, immergetevi con noi in questo nuovo album!
 
Oggi ci buttiamo nell’ascolto di un artista emergente con tutte le carte in regola per farsi una strada nel panorama Postrock. Il suo nome è Marco Corradi, il suo progetto si chiama Non è nulla, il suo nuovo album è Giove. Non fatevi ingannare dal nome.. qui c’è molto da sentire.

Un artista alle prime armi, un lavoro dal sapore casalingo, ma con grandissime potenzialità. Questo il primo impatto che abbiamo ascoltando il nuovo lavoro di Marco Corradi, artista romano emergente nel campo della musica sperimentale.

Mentre stiamo ascoltando, piacevolmente colpiti dal sound e dalle scelte stilistiche, leggiamo qualcosa in più su questo artista:

“l’album è nato dopo una pausa di due anni dalla musica in cui non toccavo quasi mai gli strumenti. Un giorno, per l’infondata paura di non poter più suonare, ho ripreso in mano la chitarra, l’ho collegata al computer e ho iniziato a registrare suoni un po’ casuali per tre settimane. Alla fine ho messo tutto insieme ed è uscito Giove.”

Scegliamo di iniziare così la nostra recensione, con le stesse parole di Marco Corradi, che così racconta il suo lavoro su Bandcamp.com.

Ci lanciamo quindi senza ulteriore indugio nell’ascolto di questo lavoro, e lasciamo che sia la musica a parlare.

Amaltea, una overture degna di nota. Ci piace il sound iniziale, il tappeto elettronico nella quale tutto nasce e prende vita. La chitarra è ammaliante, morbida, e si mischia molto bene con l’insieme degli effetti synth che accompagnano il brano.

Nel complesso, questo brano ci fa subito pensare ai primi GIAA. Un lavoro grezzo, sincero e intenso. Drizziamo subito le orecchie, ascoltiamo, la testa segue il ritmo. Ci piace, ci piace molto.

Io, forse il brano ha un’intenzione autobiografica in qualche modo, e in questo senso ci sembra di tracciare un pò l’identikit di questo artista.

Europa, C’è della malinconia, c’è la voglia di tornare a sperare, a sentire sensazioni intense.

Ganimede, questo brano colpisce, così come il primo, per la forza e la trasparenza con cui viene messo in campo.

Metis, un altro interessante capitolo di questo lavoro, che ci porta verso nuove rotte.

Tebe, qui entra in gioco un rimbalzo interessante, fatto di arpeggiatori, suoni più aspri, elettrici, che si alternano con un ritmo incalzante di ritmica digitale e basso elettrico.

Elara, sono onde di un mare fatto di note, in quale la chitarra nuota, esce e si tuffa nuovamente.

Callisto, nel complesso, anche qui siamo in presenza di ottime scelte stilistiche e un grande potenziale.

Imalia, Le idee sono buone, c’è molto da ascoltare. Molto interessante il gioco tra chitarra e basso iniziale. Ottimo il tappeto ritmico.

Passiamo quindi al verdetto finale: Interessanti scelte compositive fanno da supporto ad un lavoro che non ha nulla di meno rispetto a lavori molto importanti nel campo sperimentale. La qualità di registrazione non è eccelsa, soprattutto nella chitarra che denota la mancanza di una qualità di registrazione studio, ma ciò che ci rimane di questo brano è un senso positivo. 

Le caratteristiche ci sono tutte. Un importante inizio per un artista di cui aspetiamo il salto con un lavoro professionale e in studio.

Voto: 7

 

Paul – Postrock.it

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Vera Di Lecce – Heart And Soul (Cover)

VERA DI LECCE

Heart And Soul (Cover)

Vera Di Lecce, cantante pugliese estremamente talentuosa e originale, ci regala una cover dei Joy Division. Una band fondamentale per il suo percorso musicale, l’anticipazione di un album in uscita a Marzo. Heart and Soul, la lotta tra giusto e sbagliato. Uno dei due brucerà.

Non siamo qui per decretare chi sia il vincitore di questa eterna battaglia: quela tra bene e male, tra giusto e sbagliato, tra bianco e nero. Mai come oggi, con una guerra a pochi chilometri di distanza, sentiamo la potenza di questa tematica, di queste forze che si scontrano inarrestabili, e noi qui, piccoli, inermi, assistiamo, ascoltiamo, guardiamo.

Vera Di Lecce è una cantante, producer e performer pugliese, di base a Roma. 
Inizia ad essere conosciuta come voce femminile e danzatrice del gruppo di world music Nidi d’Arac.

Apre i concerti di Anna Calvi, Balmorhea, Lisa Germano, Shannon Wright, Afterhours e Kaki King e partecipa agli spettacoli di Arakne Mediterranea.

Il 2020 segna l’inizio di un percorso di produzione autonoma, con la pubblicazione del singolo “Visarga”, concepito per la compilation Klaustrophobie, firmata Klang Roma. Segue l’EP “Fragments”, co-prodotto con gli Entropia, duo storico dell’elettronica italiana.

Ascoltiamo questo singolo, e ne rimaniamo subito affascinati. La sua voce calda, sensuale, si sposta perfettamente con la tematica della canzone.

Il riferimento all’omonima canzone dei Joy Division è innegabile fin da subito, ma l’elaborazione è estramente originale, attuale, forte all’ascolto.

Il mondo che si crea all’interno di questa canzone è illimitato, un tessuto spaziotemporale attorno al quale ruota la realtà stessa. Un pattern di luci, color, sfumature che si accendono e si spegono, si mischiano e si dividono, danzando languidamente all’interno di queste vibrazioni. Ascoltiamo la canzone, e capiamo subito quanta affinità ci sia tra la band e la nostra artista pugliese.

L’elettronica si divide in due parti ben distinte, abbiamo una sezione ritmica, con effetti pulsanti e sporchi, che danno la prima pennellata a questo mondo Cyber Punk. Inizialmente ci lasciamo catturare da questo ritmo tribale, muoviamo la testa, chiudiamo gli occhi.. ma si fa strada qualcosa dentro di noi. Un secondo livello, fatto di sfumature, di suoni piccoli, che non vogliono emergere ma soltanto farsi sentire. Qualcuno grida laggù, non sappiamo se sia una richiesta di aiuto o un avvertimento.

Vera Di Lecce è un astro nascente della scena Post Rock, una cantante nonché un personaggio carismatico e criptico. Siamo sicuri che sentiremo presto parlare di lei.

Voto: 8,5

 

Management & Booking:

Niafunken – Govind Singh Khurana

 

Link Utili:

Youtube:

https://www.youtube.com/veradilecce

Facebook:

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Instagram:

https://www.instagram.com/veradilecce/

Paul – Postrock.it

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Creatures from the Black Lagoon – The Crooked Tree Cult

Creatures from the Black Lagoon

The Crooked Tree Cult

Il Blues non ha ancora pronunciato la sua ultima parola. Questo ci dimostrano i campani “Creatures from the Black Lagoon” con il loro nuovo lavoro, denso di sapori retrò, ma con un occhio al futuro della musica. Ecco a voi “The Crooked Tree Cult”
Vi siete mai chiesti “Chissà come sarebbero i grandi classici del passato, se venissero registrati oggi?”. Credo che questo sia il principale spunto per analizzare questo percorso musicale, denso di sapore vintage, ma con sonorità moderne e a volte anche sperimentali.

Partiamo dal primo brano. L’impatto è subito positivo, e ci troviamo subito a navigare su un traghetto a vapore sulle rive deserte del Mississipi. Potremmo essere agli inizi del secolo scorso, su per giù. Il suono caldo della chitarra ci accoglie, con quel graffiato che sa di Whiskey invecchiato.

La batteria sostiene il ritmo, con quell’andamento che ci ricorda un pò i treni a vapore, oppure i minatori che con i loro colpi affondavano le radici i quel paese sperduto, l’America, dove tutto è iniziato tanti anni fa.

Il basso è semplice, nudo, trasparente, ma tocca le corde giuste e ci fa socchiudere gli occhi per non perdere il ritmo delle immagini che si susseguono nella nostra mente.

Dal secondo brano in poi ci rendiamo conto che il primo in realtà è solo un’overture: infatti è l’unico brano originale di questo lavoro, mentre gli altri sono tutte rivisitazioni di grandi classici del blues.

Canzoni eseguite ad arte da un gruppo che sa il fatto suo. La chitarra va su e giù senza sosta con ritmiche conosciute e indimenticabili, mentre la voce ci accompagna lungo il grande tragitto con il suo mood graffiante, tipico degli anni 50/60.

E ci ritroviamo così ad ascoltare capolavori senza età, ma registrati con grande qualità, e sonorità moderne, che ci fanno pensare in continuazione “Questa canzone sembra scritta ieri!”.

I ragazzi sono stati bravi a sintetizzare un’epoca in pochi brani. Una grande cultura musicale che traspare ad ogni nota, ad ogni passaggio. I Creatures from the Black Lagoon sanno il fatto loro, e ce lo rivelano poco per volta, senza fretta, dimostrandoci che la musica di qualità è intramontabile.

Quello che ho apprezzato più di tutto in questo lavoro è stata la loro capacità di rivisitare brani di una certa età, rendendoli in qualche modo “attuali”. Un lavoro sicuramente non facile, e in questo devo complimentarmi davvero con tutti.

Avete dimostrato una grande cultura musicale, una capacità di esecuzione non indifferente, e soprattutto la percezione di trovarci a riascoltare questi brani nel 2022, con il bisogno di sentirli nostri, attuali, come se fossero nati sotto i nostri occhi.

Siete riusciti a regalarci una splendida macchina del tempo, bravi ragazzi!

VOTO: 8

Creatures from the Black Lagoon are:

Roberto Frattini – chitarra, piano, armonica, voce
Francesca Filippi – basso
Luca Bravaccino – batteria

 

Link:

Bandpage Facebook:

https://www.facebook.com/CreatureFTBlackLagoon

Spotify:

 

Paul – Postrock.it

 

 

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Earthset – L’uomo meccanico

Earthset

L’uomo meccanico
Gli Earhset sono un progetto italiano molto interessante, nato a Bologna. Il loro sound affonda le radici in percorsi psichedelici a tinte post rock, con un timbro alternative rock classico.

La miscela personale che si crea, tocca ambienti e paesaggi culturali importanti, infatti sin dal 2013, la band ha un evoluzione musicale enorme, fino alla maturità definitiva, che li conferma a pieno in questa nuova opera.

L’Uomo Meccanico è un album live registrato al Teatro Comunale di Bologna, ed è uno spettacolo incredibile, che il collettivo ha portato già nel suo tour, nel periodo (2019 – 2020) prima della pandemia.

Di questo concept album, troviamo anche una colonna sonora uscita poco dopo e distribuita, per due etichette notevoli Dischi Bervisti e Koe Records. In questo lavoro si narra in chiave teatrale il film muto del 1921, diretto dal comico Andrè Deed, dove si narra un racconto sensibile e struggente. Ampliato nel confronto tra un robot buono e uno cattivo, su un mondo fantascientifico e di grande gusto sofisticato. Il concerto viene suddiviso in otto capitoli silenziosi e sussurrati, che si aprono leggeri durante il cammino, dove la band con un carisma visionario, porta a termine le composizioni in modo eccellente.

Con lo studio attento analizziamo l’apertura del primo capitolo, con il Preludio che annuncia una vibrazione oscura e misteriosa.

Nel sottofondo i feedback ovattati, si incastrano al riverbero cosmico e nel silenzio un arpeggio stupendo prende vita. Una batteria leggera poi, si collega al rumore corposo, della seguente “Cap II – Il Fuoco”.

Una traccia preziosa che a piccoli passi, accelera d’intensità, per poi rallentare sul tempo irregolare del bridge centrale.

Il loop temporale che si crea sopra il basso e la ritmica, lascia brividi unici sulla pelle, fino ad esplodere con una rabbia distorta, chiudendo la traccia. Il delay meticoloso della chitarra, apre gli occhi sull’arpeggio dolce di “Cap III – L’Inganno”, cullandoci a dovere su un luogo dormiente, i passaggi oscuri tornano nel finale lasciando un punto in sospeso.

“Cap IV – La Festa” invece si lascia andare a una giornata spensierata, alla ricerca di ricordi felici. Qui ci sono i primi accenni di post rock, dove un chiaro riferimento ci porta ai Mogwai, le chitarre contagiose si addentrano in una struttura leggera, di un tempo godibile. Nei seguenti due capitoli “Cap V – L’Uomo Meccanico” e “Cap VI – La Fuga”, troviamo il collegamento principale di quest’opera, il punto più alto, dove prende vita la figura di questa macchina, avvolta da un sentimento represso, che porta alla fuga.

Il basso magnetico, danza in modo preciso su una batteria graffiante. I continui rumori spaziali, si agitano lungo tutta la durata molto lunga, con un’emozione magica, che si infrange su un delirio estremo.

Questo tiro energico continua anche sul “Cap VII – Il Ballo” all’interno di un vortice caldo e ben strutturato, qui la ritmica fa un lavoro incredibile, lasciando un segnale forte alla melodia. L’opera infine si chiude sulle note dell’ultimo capitolo “Cap VIII – Lo Scontro” per affrontare questa lunga battaglia, che prende il sopravvento in chiave elettronica, il giro di batteria ruvido si sposa alla perfezione, con il noise disturbante e unisce tutti gli elementi aggiuntivi, a una scrittura contemporanea d’altri tempi.

Gli Earthset mettono su una sinfonia unica e sensazionale, portando alla luce un racconto drammatico a tinte aggressive, per lasciare un significato grandioso e di nicchia.

 

VOTO: 7,5

 

Earthset – L’Uomo Meccanico(2020)

Dischi Bervisti / Koe Records

Live recorded, mixed and mastered by Claudio Adamo.

 

Earthset are:

Costantino Mazzoccoli: guitars

Luigi Varanese: bass

Ezio Romano: guitars

Emanuele Orsini: drums

 

Link:

Bandpage Facebook: https://www.facebook.com/Earthset

Bandcamp: https://earthset.bandcamp.com/music

Spotify: https://open.spotify.com/artist/27FihPbgJOaSdAyq9kgb9t

 

Simone – Postrock.it

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DID A QUID – Hawkwaves

DID A QUID

Hawkwaves
Tornano su Postrock.it i nostri amici DID A QUID. Ci immergiamo nelle sonorità psichedeliche degli anni ’70. Ecco a voi Hawkwaves

Eccoci tornati con la nostra ormai nota rubrica dedicata alle band nostrane. Oggi torniamo sui passi di un progetto passato sul nostro portale qualche tempo fa: loro si chiamano DID A QUID e arrivano con il loro nuovo prodotto chiamato Hawkwaves. I ragazzi ci regalano emozioni come sempre e già dal titolo creano curiosità. Immergiamoci subito!

Per chi si fosse perso la loro prima recensione, vi consiglio davfero di dare un ascolto e un’occhiata qui.

I DID A QUID sono una band campana che si pone l’obiettivo di rivisitare brani classici derivanti dal rock anni ’70 in chiave psichedelica. Il loro primo album, dal nome JOY DISMISSION, si poneva l’obiettivo di esplorare le sonorita della dark wave anni ’80, per raggiungere nuovi traguardi nella psichedelia e nella sperimentazione sonora.

Hawkwaves prosegue il percorso, catapultandoci questa volta nelle sonorità degli anni ’70. Si respira odore di Napalm, Nixon sta tenendo un discorso sul vecchio televisore in sala, e noi ci prepariamo a combattere in Vietnam.

La band campana non si smentisce, e dimostra grande talento anche stavolta, regalandoci una serie ampia di brani, attraversando una delle decadi più importanti nella storia della musica psichedelica. Parliamo di un periodo fondamentale sotto molti punti di vista: assistiamo alla nascita dei sintetizzatori, nascono i primi grandi progetti sperimentali. Possiamo tranquillamente dire che le basi del genere postrock nascono proprio in questi anni.

La psichedelia fa da padrona in questo nuovo lavoro dei DID A QUID. Partiamo subito con un grande nome, STEPPENWOLF, e subito sentiamo sonorità familiari. Ci sentiamo subito On The Road.

La voce si sposa perfettamente con le sonorità ampie e profonde del brano, permeato da un certo sapore agrodolce, come d’altronde era la stessa band omaggiata dai nostri amici campani. Nel complesso un grande brano che ci fa subito drizzare le orecchie per i brani successivi.

I passaggi all’interno di questo lavoro sono molti, e non basterebbero due recensioni per analizzarli tutti singolarmente, quindi preferiamo fare una panoramica generale su questo lavoro molto interessante quanto valido.

I DID A QUID si riconfermano per la loro originalità, dimostrano di aver fatto un passo avanti in fatto di sperimentazione. Il loro obiettivo di reinventare i brani e gli artisti della storia della musica Rock funziona e convince.

Ci piace il gioco tra strumenti ed elettronica, ci piace il dialogo tra ritmica e armonia, ci convince la voce particolare e profonda.

Tra i brani che ci colpiscono di più segnaliamo sicuramente D-rider, che rimane stampata nella nostra mente per il bellissimo riff di chitarra iniziale, e Motorhead – Lemmy, che rievoca in noi sonorità aggressive e indimenticabili.

Anche questa volta noi della redazione di postrock.it ci sentiamo di fare solo una piccola critica, che già si era presentata nel caso della prima recensione: 20 brani sono a nostro parere troppi per una sola pubblicazione, e rischiano di far perdere valore a tanti brani che finiscono in sordina nella quantità. Perchè non dividere la pubblicazione in due volumi?

Nel complesso: Bravi! Aspettiamo nuovo materiale da recensire!

Voto: 7

LINK:

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Paul – Postrock.it

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Super Fat Ginger Cat – MAW

Super Fat Ginger Cat 

MAW

MAW è un album suonato a volumi esagerati, ben studiato e con una passione incredibile al suo interno. Il trio mette in mostra una grande qualità musicale, che si culla dolcemente sui diversi generi musicali, lasciando una forte ispirazione e un barlume di speranza al nostro futuro.

I Super Fat Ginger Cat sono un trio molto interessante nato a Bologna, il loro sound energico inizia a muovere i suoi primi passi con jam session infinite e cariche di distorsioni. Nel loro primo album d’esordio Maw per l’etichetta italiana Grandine Records, il mondo distopico e allucinato della band, prende vita sopra ambienti caldi ricchi di psichedelia, creando un percorso introspettivo su atmosfere oscure e delicate. Infine le diverse influenze di ogni musicista si incastrano, su una realtà cosmica dal grande gusto personale, lasciando il segno in queste sette tracce, che toccano diversi stili musicali in modo eccellente.

“Uncle A” apre questo disco su un’atmosfera dormiente, per poi accendersi subito con una distorsione acida, che avvolge la linea vocale carismatica di Caterina Celano, che oltre alle doti vocali, si cimenta anche come chitarrista notevole, dal timbro aggressivo.

Il brano si sviluppa su un approccio sonoro vicino allo stoner, quello roccioso e formidabile, avvicinando l’ascoltatore a progetti storici del panorama underground, come Windhand e Royal Thunder. Da notare infine la lunga durata della traccia, che alterna paesaggi melodici a sfuriate ruvide, che tolgono il sonno. Un buon inizio che si arresta, nel finale carico di rabbia. Segue “Another Stoned Sunday” su un tiro noise rock e una ritmica spaziale, grazie al basso di Andrea Iacobucci e la batteria martellante di Marco Priori.

Sul cambio centrale delirante, si sposa alla perfezione un sussulto infinito che avvolge lo stile desert rock.

Stesso discorso vale per la seguente “Planet Fish” dove una carica incredibile si manifesta nel giro corposo del basso, fino alla dolcezza finale che rallenta la composizione.

“Efferalgun” invece accelera d’intensità il suo cammino, cambiando mood al disco con sonorità più spedite simil punk, mentre “Strangers” apre il paradiso sognante del trio su parabole cosmiche, avvolte da una desolazione arida e un’esplosione struggente nel finale. Verso la chiusura poi ci soffermiamo sulle bordate pesanti di “Eta Carinae” che con le sue chitarre leggere, agita la struttura a dovere sopra il rullante caotico e la distorsione graffiante. La linea vocale qui appare matura, come a voler narrare una storia personale.

Uno dei brani migliori del disco, che stordisce al suo ascolto e immerge il sound dentro un viaggio apocalittico.

Chiudiamo quest’opera suggestiva con lo stoner classico di “While True”, che a piccoli passi sofisticati, completa con precisione il disco.

Maw è un album suonato a volumi esagerati, ben studiato e con una passione incredibile al suo interno. Il trio mette in mostra una grande qualità musicale, che si culla dolcemente sui diversi generi musicali, lasciando una forte ispirazione e un barlume di speranza al nostro futuro.

 

VOTO: 7,5

Super Fat Ginger Cat – Maw(2021)

Grandine Records

Mixed and Recorded at Cabot Cove studio by Diego Castioni

 

Super Fat Ginger Cat are:

Caterina Celano: vocals and guitars

Andrea Iacobucci: bass

Marco Priori: drums

 

Link:

Bandpage Facebook: https://www.facebook.com/superfatgingercat

Spotify: https://open.spotify.com/artist/3KcFG0eH5vwSUCJUKwqU8s

 

Simone – Postrock.it

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Australasia – perdere

Australasia

Perdere

Il progetto Australasia è l’universo cosmico carico di effetti visivi del polistrumentista italiano Gian Spalluto.

La sua lunga carriera nasce nel 2012 con il primo full lenght Sin4tr4, il suo percorso come musicista, si impreziosce con la collaborazione preziosa di diversi artisti sulla scena underground post rock e mette in mostra storie vissute, pensieri ed esperienze personali che raccontano una fiaba meticolosa, sotto un cielo stellato da brividi.

Le sue composizioni narrano il mondo interiore dell’artista, che con l’insieme pazzesco di emozioni splende di luce incandescente in ogni sua opera, dal timbro quasi completamente strumentale.

L’influenza maggiore per artisti monumentali come Angelo Badalamenti e John Carpenter, rende il suo viaggio artistico una vera e propria colonna sonora, fino ad arrivare a tematiche più spinte e aggressive verso il blackened  post rock a tinte shoegaze, avvicinando le sonorità a band del calibro enorme stile Russian Circles e Slowdive.

Le melodie principali si spalmano, su un’infinità di passaggi distorti, avvolti da delay magnetici che portano alla scoperta di nuovi orizzonti più cupi e malinconici, narrando storie drammatiche o visioni nuove suggestive, cercando un buon compromesso orecchiabile e godibile.

Infine nei suoi brani   Gian si immerge in luoghi immaginari e boschi misteriosi, per un risultato notevole da lasciare con il fiato sospeso.

Dopo il periodo complicato per la musica inedita, soprattutto per i generi di nicchia più suggestivi. L’artista non perde lo spirito e lavora su un nuovo singolo “Perdere” prodotto per l’etichetta Goden Morning Sounds, che sarà l’apripista di diversi sogni struggenti da affrontare con la giusta speranza. Come un puzzle che prenderà forma nell’arco dei prossimi mesi, lasciando un gusto unico e delicato. Le diverse composizioni sono basate sul tema personale “Perdere e Ritrovare”, dove i problemi della vita e gli eventi negativi e positivi, trovano il punto d’incontro definitivo, che nonostante il periodo incerto, cercano di creare una nuova luce.

La struttura del brano è incentrata sullo studio attento della chitarra, che si alterna in cambi puliti e sensibili, a momenti più pesanti dove la distorsione spazza via qualsiasi cosa. Dentro questo nucleo caotico, troviamo anche una voce vintage con l’effetto RAT, che lancia segnali corposi e una batteria graffiante.

Le vibrazioni infinite portano l’ascoltatore in un ambiente dormiente, fino all’esplosione finale del caos stupendo.

L’artwork è curato dall’illustratrice Sara Fasolin e ritrae una gazza ladra, come simbolo d’innocenza e gratitudine, marchio presente anche nei diversi lavori dell’artista. Concludendo questo primo singolo ci lascia spiazzati, per tutta la sua durata e trasmette un incantevole bellezza ricercata.

 

VOTO 7

 

Australasia – Perdere

– Golden Morning Sounds –

Produced by Gian Spalluto

Recorded, mixed and mastered by Francesco Barletta at Last Floor Studio

 

Australasia are:

Gian Spalluto: Guitar,bass and synths

Giovanni Cilio: drums

 

Link Utili:

Bandcamp: https://australasia.bandcamp.com/

Facebook: https://www.facebook.com/australasiamusic

 

Simone – Postrock.it

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IQONDE – KIBEHO

IQONDE

KIBEHO

La prima traccia di “Kibeho” ci lascia subito a bocca aperta, con la citazione tratta dal film del 75 di Pasolini: “Salò o le 120 giornate di Sodoma”.

Dopo quel “Su, imbecilli, fateci vedere che siete felici! Avanti, ridete!” un agguerrito strumentale ci porta a comprendere il titolo della prima traccia, Ma’Nene, il rituale indonesiano che riesuma i morti.

Le sonorità sposano perfettamente l’ideologia del progetto, fondere frastuono, dissonanze, Caos, in un noise dall’aspetto primordiale unito al tocco mitico dell’Africa Nera.  

Le ritmiche tribali sono stata in qualche modo inglobate in sonorità caotiche molto lontane da quello che è un approccio folkloristico.

Il secondo brano si intitola “Marabù”, probabilmente il nome di un uccello coloniale che abita appunto l’Africa subsahariana.

“Kibeho” è un album di suggestioni. Un album di musica strumentale che tenta di pilotarci verso un ambiente, un habitat… molto lontano da quello che siamo abituati a percepire come nostro.

Edith Piaf è sicuramente un omaggio alla grande cantautrice francese. Dopo l’annuncio in lingua francese che ci permette di ricondurre il brano al titolo, inizia forse la più “melodica” tra le canzoni proposte.

Ed anche qui, un ennesimo gioco di suggestioni, di assaggi, di sapori, di emozioni che ci permettono di comprendere vagamente il messaggio, volutamente mai troppo chiaro.

“Leblansho” è la più lunga tra le tracce, ed anche la più misteriosa. Inizia con un’aura dark, anche qui giocano le sensazioni più che una mera etichetta che non renderebbe fede al percorso emozionale di questo disco. Il brano è un’evoluzione degli strumenti base che compongono il disco, ma è proprio la dimostrazione che a volte non occorrono mille suoni, mille effetti. Conta l’intenzione.

Gross Ventre  e 22:22 (con l’ennesima citazione dal film di Pasolini) ci accompagnano verso la fine di questo percorso, decisamente breve, che ci lascia con quel senso di vuoto di quando non vuoi che giunga la fine… ma la sentiamo arrivare dal finale dell’ultimo brano, che non ci lascia dubbio:

prima o poi inizierà un nuovo capitolo, di certo molto diverso dal primo.

Album e band consigliatissimi a tutti gli amanti della sperimentazione.  

Voto: 7

 

Link:

Bandcamp: https://iqonde.bandcamp.com/album/kibeho

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J. – Postrock.it