Il suo bagaglio sonoro e tradizionale inizia i primi passi dal mondo culturale teatrale, dove le narrazioni di nicchia si uniscono alla grande personalità musicale dell’artista e vede la luce nel suo progetto solista nel 2012. La scrittura dei testi in inglese poi, aumenta il valore autentico e geniale dei brani, unendo i diversi elementi visionari come synth e percussioni, che oscillano in un paesaggio mistico e audace. Il sound che ne viene fuori è prettamente pop tradizionale e sfiora le tematiche elettroniche in modo eccellente, fino ad evolversi durante le performance live, ricche di suggestione, che prendono piede in un giocoso tocco orchestrale. Il secondo album Altar of Love prodotto per la label italiana Niafunken è il degno successore di “29 Seconds”.
“Painfall” apre il disco su una cantilena ripetitiva, che si immerge nel vuoto cosmico di un ritmo giapponese eseguito dalle percussioni, la tematica del brano poi si sporca di una sperimentazione ricercata, fino ad avvolgere la linea vocale calda e sensuale. Nelle sue note notiamo tutto il dolore represso e una consapevolezza, che sia l’unica forma per liberarsi dal problema. Segue “Shellbone” e la sua marcia martellante dei tamburi, per sospirare in un vortice furioso che insegue parole grottesche all’interno di un tappeto electro-noise da brividi. Il tocco distorto della voce, si regge su un’atmosfera di qualità irregolare, creando una sensazione inquietante di paura. Il percorso continua sulla drum-machine accogliente di “The Truth” per una canzone breve e leggera.
“Jenome” invece innalza il livello concettuale del disco, sotto una vibrazione ossessiva della loop corposa, che si spinge in un tiro magnetico e caloroso, lasciando una traccia strumentale notevole.
“Sorry” avvia una malinconica e dormiente fantasia, con le emblematiche sinfonie di un synth chiuso e abbandonato in un luogo senza vita. Un’esperienza a tratti mistica, che disturba l’ascolto durante il suo passaggio, ma mantiene un timbro sofisticato. Prima di chiudere l’album, una buona e macchinosa parte viene catturata dalla metamorfosi raggiunta in “The Phoenix”, un’ennesima opera vibrante e atmosferica che toglie il respiro e ci tocca nel profondo. La fine arriva con la title track “Altar of Love” su un gesto d’amore interiore, per una poetica esibizione morbida e simbolica.
VOTO: 7,5
Niafunken
Written, produced, and recorded by Vera Di Lecce
Mixed and mastered by Paolo Panella
Artwork by Giacomo Merchich
Link Utili:
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Simone – Postrock